
Francesca Sofia Novello, reggiseno a vista per la Chopard Night
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Da capo scandaloso a oggetto delle passerelle, la storia del due pezzi
Il bikini, costume da bagno per antonomasia eletto capo icona delle pin-up e simbolo dell’emancipazione femminile, compie 74 anni il 5 luglio. Nato dall’idea del sarto francese Louis Réard nel 1946, questo capo è entrato nella storia della moda e ha letteralmente avuto effetti esplosivi sulla società.
L’impatto mediatico del bikini, che per la prima volta mostrava al mondo l’ombelico della donna, è stato rivoluzionario così come il conseguente risvolto sociale. Qualche esempio? Come dimenticare le scene sul grande schermo con protagoniste Brigitte Bardot, Ursula Andress, Marylin Monroe che, con i loro bikini, sono entrate di prepotenza nei sogni proibiti degli uomini di tutto il mondo? Un capo che non passa mai di moda e anche oggi è indossato, non senza fare notizia, da star internazionali come Rihanna, Jennifer Lopez e Jennifer Aniston che mostrano come il bikini possa essere sensuale a tutte le età. Se oggi il due pezzi è indossato senza alcun pregiudizio in spiaggia, ai suoi esordi il bikini venne considerato disdicevole, un vero scandalo. Negli anni ’60 tutte le ragazze ne volevano uno, ed esplose il al boom di questa geniale creazione.
La nascita del bikini è legata in realtà a un avvenimento drammatico. Nel 1946, sul finire della Seconda Guerra Mondiale, una bomba colpì l’atollo delle Isole Bikini, all’epoca sotto il controllo degli Stati Uniti.
Colui che lo che inventò il costume a due pezzi riteneva che il suo capo avrebbe avuto lo stesso effetto, letteralmente esplosivo, sulla moda. Da qui la scelta di Louis Réard di battezzarlo proprio bikini. Era il 5 luglio 1946 quando lo presentò al pubblico a Parigi.
Réard in realtà non era uno stilista o un sarto ma un ingegnere automobilistico. Rilevò il business di lingerie della madre nel 1940 e il suo spirito di osservazione lo portò alla creazione del bikini. Infatti, sosteneva che sulle spiagge di Saint Tropez le donne erano solite arrotolare i bordi dei costumi per ottenere una tintarella migliore.
La sua ispirazione fu Atome, il costume da bagno a due pezzi disegnato da Jacques Heim, presentato come il più piccolo del mondo. Però copriva ancora l’ombelico. Da qui la scelta di Réard di creare 4 triangoli di tessuto stampati a mo’ di carta di giornale. Era convinto infatti che avrebbe ottenuto le prime pagine in tutto il mondo e così fu. Il bikini fece molto scalpore e colpì anche gli esperti del settore.
Il successo non fu però immediato quanto lo furono le polemiche. Réard fece fatica persino a trovare una modella per posare per le foto. Alla fine la sua scelta ricadde su una spogliarellista del Casino de Paris, Michelle Bernardini. La donna ricevette circa 50mila lettere di ammiratori, e un centinaio di proposte di matrimonio.
Molte donne lo trovavano troppo audace, molti mariti e padri non avrebbero mai dato il consenso a mogli o figlie a indossarlo. Fu osteggiato persino dal Vaticano e ci mise quasi un decennio per decollare. Era bandito in Italia, Spagna, Portogallo, Belgio e Australia e in diversi stati americani.
Fu Brigitte Bardot a sdoganarlo, nel 1956, sul set del film E Dio creò la Donna. Il cinema ne andò matto e tutte le dive, anche italiane, iniziarono a indossarlo. Da pietra dello scandalo a ricercatissimo capo di moda. E così Marisa Allasio ne indossò uno in Poveri ma belli di Dino Risi, Lucia Bosè vinse Miss Italia con un due pezzi, e Ursula Andress divenne la bond girl più famosa di sempre con il suo bikini in 007 – Licenza di Uccidere.
Il successo fu inarrestabile e il bikini invase le spiagge anche di quei paesi nel quale era bandito. Televisione, cinema, giornali, il bikini era ovunque e fece aumentare le vendite dei costumi da bagno anche nel nostro paese che era in pieno del boom economico.
Secondo il Times nel 1967, a vent’anni dalla sua creazione, il 65% delle ragazze indossava un bikini. La compagnia di Réard chiuse nel 1988 ma ormai il capo era prodotto da qualunque brand e firmato dai più grandi stilisti. Il bikini diventò un must anche sulle passerelle di moda.
Dalle fantasie e forme più varie, il bikini frutta un business da oltre 800 milioni di dollari all’anno.
Con l’ampliamento delle sue vendite, il bikini ha saputo trasformarsi per accontentare un pubblico femminile sempre più vasto con forme, dimensioni e fantasie differenti. Ecco le tipologie più in voga del famoso due pezzi:
Negli ultimi anni abbiamo assistito a una rinascita del costume intero, apprezzato soprattutto dalle giovanissime, ma il bikini resta in cima alle preferenze e alle proposte moda per il 2020. Se la scorsa stagione abbiamo visto un ritorno di modelli anni ’50, tra skirtini e fantasie a pois, quest’anno tornano gli anni ’80.
Le stampe animalier rubano la scena a tutti e brand come Reina Olga e Saint Laurent si divertono proponendo stampe tigrate, zebrate e leopardate. Niente colori fluo ma tonalità pastello. Una vera inversione di marcia, come dimostrano i costumi più acquistati online.
I modelli più sfiziosi hanno maxi fiocchi, come in casa Fendi, volant, e frills sulle spalline o sullo slip. Non mancano i modelli tradizionali sempre eleganti e senza tempo. La versatilità è molto ricercata: esistono modelli con maniche accennate o con una gamba più lunga per trasformare il bikini in un capo da indossare anche quando si ritorna dal mare.
Per chi vuole optare per qualcosa di più sexy i costumi con laccio in vita sono la scelta giusta. Mette in risalto l’addome ed è tra i modelli più ricercati per l’estate 2020.
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